Quando Netflix ha annunciato la mini-serie Senna, l’entusiasmo è esploso così come la curiosità e la diffidenza.
Come si racconta un uomo che è stato tutto e il contrario di tutto? Un talento di quelli puri, pilota straordinario, carismatico. Ma anche una figura complessa, piena di contraddizioni e zone d’ombra con i suoi titoli mondiali, le imprese e quelle fragilità che lo hanno reso umano e divino allo stesso tempo.
Ayrton è un puzzle dai mille pezzi, difficile da ricostruire. Eppure, questa è l’essenza del mito: un uomo che non si lascia definire facilmente. Negli anni, soprattutto per i più giovani che non lo hanno vissuto direttamente, Ayrton è stato raccontato attraverso frammenti, come un puzzle: testimonianze, documentari, aneddoti, racconti tramandati.
Si è cercato di ricostruire una verità nascosta tra la leggenda e l’immaginazione.
Senna, disponibile su Netflix da oggi 29 novembre, tenta di ricostruire quel puzzle, mettendo insieme i successi sportivi e momenti personali di Ayrton, rispolverando un album dei ricordi, fatto di momenti felici e meno felici così come di successi e sconfitte. Tutto quello che ha definito Ayrton, negli anni in cui la Formula 1 stava cambiando e in cui è stato lui stesso parte integrante di questo cambiamento.
La serie è stata realizzata con una produzione interamente brasiliana e con la collaborazione della famiglia di Ayrton, portando con sé un’eredità importante e, ovviamente grandi aspettative. Noi abbiamo avuto il privilegio di vederla in anteprima grazie a Netflix Italia e dunque di raccontarvi le nostre impressioni.

Una narrazione che parte da lontano
La serie segue un percorso cronologico, partendo dai primi passi di Ayrton sui kart, al salto nel vuoto in Inghilterra per le sue prime competizioni sulle monoposto che lo hanno portato a scontrarsi con la prima difficile sfida richiesta ad ogni pilota: quella di allontanarsi dal focolare domestico, dai propri affetti per trasferirsi in un altro paese senza sapere quando o se si farà o meno ritorno a casa.
Partendo da lontano, la narrazione si sofferma parecchio sulle tappe iniziali della carriera del pilota, magari anche perché meno conosciute al grande pubblico. C’è il periodo in Formula Ford, anche alcuni duelli in Formula 3, come quello con Martin Brundle, che mostrò al mondo la sua stoffa da campione, e anche la sua geniale follia (benché si ometta a piè pari un episodio cardine come Thruxton).
Questo salto, dalle formule minori alla Formula 1, il percorso dall’anonimato alla notorietà, e tutte le complicazioni che ne derivano è collegato dalla presenza di un personaggio che, seppur inventato risulta molto importante per la narrazione: la giornalista Laura Harrison. Un escamotage per racchiudere in un unico personaggio la stampa, i media e tutti i giornalisti con cui Ayrton ha avuto a che fare nell’arco della sua carriera. Alcuni dei quali sono diventati amici, e altri forse, che se ne sono approfittati un po’. Questo si capisce anche dalle contraddizioni che rappresentano questo personaggio, a volte amico, supporter, a volte sciacallo, cosa che comporta diverse forzature narrative. La sua presenza è costante e serve a ricollegare tutto il filone sportivo di Ayrton dal viaggio in Inghilterra alla carriera in F1.
Una scelta difficile, ma necessaria
Se il periodo pre-F1 è condensato in un paio di episodi, della carriera nella classe regina forse non sarebbero bastati nemmeno 10, o 20 episodi per raccontare tutto il percorso di Ayrton. Un percorso che inevitabilmente è stato segnato anche dai tanti personaggi che sono entrati nella vita del pilota brasiliano, e che lo hanno portato a fare determinate scelte. Nella serie, sul punto di vista sportivo troviamo alcuni dei momenti più importanti nella carriera di Ayrton come il debutto con la Toleman in F1; il famoso Gran Premio di Monaco del 1984 che ha messo in luce il suo talento frutto del duro allenamento da bambino per scoprire “il segreto della pioggia”. Per proseguire poi la sua prima vittoria in Portogallo nel 1985 con la Lotus, e il Gran Premio del Brasile del 1991 quando Ayrton vinse con il cambio bloccato la prima in casa.

Le spettacolari sequenze di gara
Ogni gara, anche se chiaramente non le troviamo tutte, è raccontata con una grande attenzione al dettaglio. Direi quasi maniacale, un po’ come lui. Le sequenze in pista sono spettacolari. La produzione ha realizzato 22 vetture storiche, fedelmente ricostruite per rappresentare le auto con cui Ayrton ha corso durante la sua carriera. Ma non solo, ci sono tante altre monoposto riprodotte, anche solo per essere riprese per una frazione di secondo. Una vera goduria per gli appassionati. Molto viene affidato alla CGI, la quale è un po’ ondeggiante: fatta bene in alcuni frangenti, davvero troppo palese o approssimativa in altri, ma nel complesso è un mix che funziona, tra alti e bassi. La fotografia poi contribuisce a creare un’atmosfera ancora più drammatica e adrenalinica.
Una prospettiva più umana
Al centro di tutto c’è l’interpretazione di Gabriel Leone, che riesce a dare vita a un Ayrton Senna credibile, sia nei momenti più intensi in pista che nei suoi lati più personali.
Si intravedono i suoi rapporti con la famiglia, la pressione costante del successo e il peso di essere un simbolo per un intero paese. Eppure, c’è un senso di cautela nella narrazione, come se la serie fosse più interessata a celebrare Ayrton che a scavare nelle sue contraddizioni. Questo non toglie emozione al racconto, anzi, lascia inesplorate alcune zone d’ombra del personaggio rendendolo ancora più enigmatico.
La scelta narrativa di focalizzarsi quasi esclusivamente sul protagonista lascia tuttavia poco spazio ai personaggi secondari che restano spesso in secondo piano. Il personaggio più atteso oltre Ayrton era quello di Alain Prost, il rivale storico di Senna. Nonostante il personaggio sia bene interpretato (da Matt Mella) nella serie il loro rapporto è solo accennato, senza esplorare a fondo le dinamiche che hanno segnato una delle rivalità più celebri della Formula 1. Anche figure centrali come quelle di Ron Dennis (Patrick Kennedy) o di Xuxa (Pâmela Tomé) non vengono approfondite molto, restando più che altro funzionali al racconto della vita di Ayrton.
Punto positivo e da riconoscere alla produzione, il fatto di aver scelto attori della stessa nazionalità del personaggio che devono interpretare, cosa che vista in lingua originale è una nota di merito perché aggiunge molto al prodotto. Con il doppiaggio inevitabilmente si perde, ma la serie (in originale è in portoghese/inglese, con sprazzi di italiano) acquista un po’ di valore anche su questo.
Il legame con il Brasile
Un altro aspetto che emerge con forza è il legame tra Ayrton e il Brasile, un paese che in quegli anni viveva una crisi profonda, economica e sociale. Senna non era solo un pilota: era un simbolo di riscatto, un eroe che univa un’intera nazione davanti alla TV. La serie riesce a catturare alcuni di questi momenti, come l’entusiasmo del pubblico o il peso delle aspettative su di lui. Mostrando anche come il Brasile definisse Ayrton, nelle sue scelte e nella scalata verso il successo.
La serie è intensa e tutto sommato piacevole, rivolta sia verso i più giovani ma anche ai fan di lunga data, proponendo un vero e proprio omaggio ad Ayrton grazie a una messa in scena visiva curata nei minimi dettagli. La volontà è ovviamente quella di fare qualcosa di diverso da un semplice documentario, una storia che, per quanto romanzata e condensata, riesce a dare uno spaccato molto simile alla realtà.
Pur non esplorando a fondo tutte le contraddizioni e le dinamiche relazionali che hanno segnato la vita di Ayrton, la serie Senna riesce a restituire un ritratto che, come il mito stesso, continua a sfuggire e a emozionare.
In conclusione? Partivamo da aspettative molto basse, date da una piattaforma che ha prodotto Drive To Survive, serie in cui la realtà viene storpiata ai fini dello spettacolo, e dal fatto che la produzione della serie fosse interamente brasiliana e a stretto contatto con la famiglia di Ayrton, quindi sicuramente non proprio super partes. Non è un capolavoro e non è di certo la cosa migliore mai prodotta a tema F1, ma possiamo dire di essere rimasti sorpresi in positivo da quanto fatto, al netto di diverse mancanze. Il nostro voto? Un bel 7.